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Pato Aguilera: «Genova è casa mia, ma questo Genoa mi preoccupa»

Trent’anni dopo. Potrebbe essere un romanzo di Dumas ma in questo caso i moschettieri sono undici. Quelli di quel Genoa straordinario che arrivò quarto in campionato e alla semifinale di Copa Uefa. Uno di loro Pato Aguilera è tornato a Genova: “Qui è come se fosse ancora casa mia, ho sempre tanti amici. Sì, sono passati trent’anni da quello che per tutti è il Derby di Branco e tra poco celebreremo un altro storico anniversario: la vittoria all’Anfield Road”.

Tra cinque giorni c’è il derby, il Pato, che dopo la vittoria di trentanni fa fece il giro di campo sulle spalle di Braglia, evoca quell’impresa quasi come un presagio. “Su quella punizione Claudio (Branco ndr) mi disse: ‘Pato, toccamela appena..”. Misi la suola sulla palla e la spostai all’indietro facendogli fare appena un giro. Gli arrivò perfetta e morbida sul sinistro, ma per lui non sarebbe comunque stato un problema. Come calciava Branco non l’ho visto fare a nessun altro. No, non l’avevamo provata in allenamento. Con Claudio non c’era bisogno di provare. E così vincemmo un derby nel quale ci davano tutti per spacciati. Al ritorno finì in pareggio, fummo l’unica squadra che la Sampdoria, nell’anno dello scudetto non riuscì a battere”.

E venerdì sera come finirà? Aguilera confida di essere preoccupato: “Shevchenko senza giocatori non può fare miracoli. Ne servono almeno sette per allestire una rosa competitiva. Io il Genoa lo vedo sempre in tv e confesso che la partita di Udine mi aveva fatto ben sperare, c’erano stati dei segnali di ripresa. Poi, però, il buio assoluto con Milan e Juventus. Domenica sera a Torino non c’è stato nemmeno un tiro in porta. Mi rincuora il fatto che anche la Sampdoria non mi sembra messa molto meglio. Il primo tempo con la Lazio è stato pessimo, qualcosa di più hanno fatto nella ripresa”.

Aguilera, che ha seguito a Begato la partita della Primavera contro il Verona, è a Genova insieme al suo manager Fernando Paparamborda e a Renè Moroni, l’ex ultras del Genoa che si è trasferito da tempo in Spagna ed è manager di calciatori.

La loro è un’amicizia di lunga data, racconta Pato che sull’aereo che portava la squadra a Liverpool l’aveva seduto a fianco: “Renè era preoccupato, mi diceva che saremmo stati eliminati perché era impossibile uscire indenni da Anfield. Gli risposi di stare tranquillo perché avremmo vinto. Io feci due gol, ma l’eroe di quella partita fu Braglia. Parò tutto”.

E’ un grande affabulatore, ti rapisce con i suoi racconti. “Io ero piccolo piccolo. Non a caso mi chiamavano Pato, paperino. Ero convinto che un calcio fisico come quello italiano non faceva per me. Ma Scoglio venne a casa mia e mi convinse: ‘Fidati di me, diventerai l’idolo dei tifosi del Genoa’. L’esordio lo feci in amichevole in amichevole a Savona contro il Torino. Da Genova arrivò così tanta gente che l’autostrada restò paralizzata. Rimanemmo in coda mezz’ora al casello, dal finestrino Signorini mi indicò le macchine con le bandiere rossoblù: ‘Non ti stupire, i nostri tifosi sono così..’. Anche Bagnoli è stato un allenatore straordinario, quando ti parlava abbassavi lo sguardo. Una domenica a Lecce mi lasciò fuori e vincemmo tre a zero, la domenica dopo a Bologna mi prese da parte: ‘Il presidente vuole che io non ti faccia giocare, dimostriamogli che sbaglia lui’. Vincemmo tre a zero e segnai tre gol, nello spogliatoio piangevo mentre lo abbracciavo, Spinelli che era pochi metri più in là e si girò dall’altra parte. Lui era tutto per Skuhravy, ma io non ero geloso. Io e Thomas siamo come fratelli, quella squadra era una grande famiglia, ci vogliamo ancora tutti bene. Mi mandò via per prendere Dobrovolski e raccontò che ero stato io a volermene andare”.

Renè racconta un retroscena. “Una sera mi chiamò Sogliano dicendomi che volevano riprendere Pato e che io ero l’unico che potevo convincerlo a tornare. Presi la macchina e andai a Torino, alzai il telefono e chiamai Landini: missione compiuta. A quel punto ci fu il gelo. Era stata una messinscena avrebbero voluto far credere ai tifosi che lo volevano riprendere e che era Pato a dire di no. Avevano già scelto Detari”. E ad Aguilera sta a cuore una precisazione: “Eravamo una grande squadra, se fossi rimasto io e con tre innesti mirati avremmo potuto vincere lo scudetto”.

Il piccolo Uruguay, tre milioni e 474 mila abitanti, continua ad essere una fucina di talenti. Da Pato arrivano un paio di consigli per gli acquisti. “Il più promettente di tutti è Facundo Bernal volante central del Defensor e della nazionale under 20. Per inquadrarlo è un giocatore alla Betancur della Juve. E si va sul sicuro anche con Agustin Alvarez Martinez, 20 anni, centravanti del Penarol. Sono suggerimenti che al mio amico Alberto Zangrillo do volentieri. Lui è un genoano vero, me lo aveva presentato Pippo Spagnolo a Cadice quella volta che Renè con una scusa mi aveva fatto salire su un quad e poi su su due ruote aveva puntato a tutta velocità un albero. Loro morivano dal ridere e io me la sono fatta sotto dalla paura”.

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